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Il mio processo artistico con la fotografia analogica si sviluppa attraverso una continua sperimentazione con il mezzo fotografico stesso, spingendo i limiti della tecnica e della materia per rivelare nuove possibilità visive. In questa ricerca, il soggetto non è solo ciò che viene ripreso, ma anche il negativo stesso, inteso come oggetto fisico e come matrice di nuove immagini.

Lavorando in camera oscura, ho sviluppato i miei rullini non solo come semplice passaggio tecnico, ma come fase creativa vera e propria. Attraverso manipolazioni, sovrapposizioni, esposizioni multiple e interventi diretti sulla superficie del negativo, ho dato vita a nuove immagini che si distaccano dalla pura rappresentazione del reale per entrare in un territorio più onirico e surreale. Graffi, macchie chimiche, segni accidentali e alterazioni del supporto diventano parte integrante dell’opera, trasformando il negativo in un luogo di metamorfosi visiva, dove l’errore e l’imprevisto generano possibilità inaspettate.

Questa pratica mi permette di ribaltare il concetto tradizionale di fotografia come strumento di documentazione, esplorando invece il suo potenziale espressivo e astratto. L’immagine fotografica non è più solo un riflesso del mondo esterno, ma un processo in divenire, dove il tempo, la materia e l’intervento manuale si intrecciano per creare nuove visioni.

In questa serie, il confine tra realtà e immaginazione si dissolve: le immagini emergono da un substrato materico e instabile, in cui la fotografia non è più solo una finestra sul mondo, ma una stratificazione di segni, tracce e impressioni che danno vita a una narrazione autonoma. Lavorare in questo modo significa per me affidarmi al processo, accogliere l’imprevisto e lasciarmi guidare dalla materia fotografica stessa, in un continuo dialogo tra il visibile e l’invisibile.

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